Sono passati ormai alcuni anni da quando ci siamo convertiti, con grande soddisfazione personale e professionale, alla pacciamatura organica.
Definiamo cosa si intende per pacciamatura: la pratica di coprire un terreno di coltura con un materiale organico od artificiale che impedisca alla luce solare di arrivare al terreno al fine di impedire la nascita o la proliferazione della vegetazione.
Questo risultato si può ottenere attraverso la stesura sul terreno di un film plastico o di polimeri plastici intrecciati, o in alternativa di fibre naturali quali cocco, juta o canapa, il cosiddetto telo pacciamante; oppure con il riporto di materiali che si frappongano fisicamente tra il suolo e la luce solare; tra questi ultimi troviamo la celeberrima corteccia di conifera, il lapillo vulcanico, la ghiaia, le scandole di pietra, il ciottolame di pietra e , dulcis in fundo, il cippato di legna ovvero rami processati meccanicamente al fine di ridurne il volume.
A differenza del telo plastico i materiali organici (ad eccezione degli inerti pietrosi) hanno molteplici caratteristiche molto importanti, a volte determinanti, nel prendersi cura della vegetazione.
Mantengono l’umidità del terreno e quindi riducono di fatto la necessità di apporto idrico, isolano le radici dal gelo e dal calore più intenso, sono biodegradabili divenendo quindi ammendante (un migliorativo) del suolo nel quale si sviluppano le radici e crescono le nostre amate piante.
Fatta la doverosa distinzione tra le varie scelte che abbiamo a nostra disposizione vi spiego, cari Giardinieri sensibili, perché scelgo ed amo (ogni giorno di più) il cippato come pacciamante in vivaio così come nelle nostre realizzazioni.
Innanzitutto proviene dagli scarti vegetali delle potature dei nostri alberi ed arbusti, è a tutti gli effetti un sottoprodotto anziché un rifiuto, quindi contribuisce a diminuire il problema dello stoccaggio delle risultanze vegetali.
In seconda istanza non è un prodotto commerciale che richiede processi produttivi industriali energivori poiché per ottenerlo è sufficiente processarlo in un cippatore che a seconda della quantità e della dimensione del materiale da triturare può essere caricato sul cassone di un comunissimo furgoncino.
Se ottenuto esclusivamente da legna il cippato può diventare combustibile per caldaie adatte a bruciarlo, contribuendo a diminuire di fatto la dipendenza da idrocarburi e gas naturali.
È pressoché a km zero poiché quasi sempre è prodotto a pochissimi km da dove viene infine impiegato.
Quando è utilizzato in giardino ai piedi delle nostre piante e nelle aiuole possiede un colore naturale di aspetto armonioso col resto del contesto, aiuta nel contenere lo sviluppo di infestanti indesiderate, crea un habitat ospitale ai piccoli ospiti del giardino, insetti o piccoli roditori, ricci, rane o rospi ed agli utilissimi lombrichi.
Al di sotto di esso il suolo è popolato da micorrize (funghi benigni che vivono in simbiosi con le radici), funghi saprofiti che lo trasformano gradualmente in sostanza organica necessaria al buono sviluppo delle piante, vera e propria “benzina” per i microoganismi e batteri utili del terreno.
L’esperienza mi dice che il terreno al di sotto del cippato resta morbido ed areato dai cunicoli dei lombrichi che ci vivono, dalle larve dei coleotteri e delle farfalle che vedremo in estate e quindi in ultima analisi un luogo più salubre per la crescita degli apparati radicali.
In conclusione, amici Giardinieri, se ancora non lo avete fatto vi invito ad iniziare quanto prima a convertirvi al cippato ed ad una via più naturale, ma prima ancora a dismettere il telo plastico, poiché priva il sottosuolo della vita necessaria al buono sviluppo delle radici, costa molta energia produrlo in termini ecologici e lo smaltimento dello stesso risulterà complicato e costoso, senza tralasciare il fatto che è poco edificante osservare una distesa nera al di sotto delle piante che coltiviamo con tanto riguardo.